L’intelligenza artificiale e l’apprendimento: nuove prospettive sulla comunicazione telefonica

CONDIVIDI SU:


Mi occupo di comunicazione telefonica da quasi trent’anni, anni in cui il contesto, le tecnologie e soprattutto le aspettative delle persone sono cambiate radicalmente. Nonostante questo, la percezione generale di quest’attività è rimasta sorprendentemente leggera, come se l’attività telefonica fosse ancora un territorio semplice, accessibile, privo di una vera struttura professionale.

Durante una delle formazioni di queste settimane ho chiesto ai discenti, come faccio spesso, perché avessero scelto un lavoro al telefono. Una persona ha risposto con naturalezza: «Perché qui non serve avere studi specifici: basta avere… chiacchiera!». Non c’era provocazione, ma la convinzione che la comunicazione telefonica sia un’attività immediata, quasi istintiva, che non richiede preparazione.


Un fraintendimento culturale

Questa convinzione è più diffusa di quanto sembri. Il telefono viene trattato come un’estensione spontanea della voce: si riesce a parlare, quindi si può fare. In realtà è un ambiente cognitivo complesso, privo di indizi visivi, in cui pause, ritmo e scelta delle parole incidono direttamente sulla costruzione del significato. Senza studio e consapevolezza si tende a improvvisare o a utilizzare schemi sviluppati molti anni fa, spesso inadatti al contesto attuale. L’improvvisazione regge solo finché la conversazione non introduce un elemento inatteso. In quel momento la spontaneità mostra i suoi limiti: non aiuta a leggere l’intenzione dell’altro, non consente di adattare la risposta e non protegge dagli errori più frequenti.


La promessa di sostituzione dell’IA

È dentro questo fraintendimento culturale che si inserisce oggi l’intelligenza artificiale. Se si pensa che una telefonata sia soltanto una sequenza di parole, un modello generativo appare come un sostituto naturale: produce frasi ordinate, coerenti, sicure. È un’idea seducente, perché sembra ridurre la complessità del lavoro umano. Ma nasce da una rappresentazione distorta dell’attività telefonica e non dalle reali capacità della tecnologia.


I limiti strutturali dell’IA nel parlato telefonico

C’è un aspetto tecnico spesso trascurato: l’IA non ha accesso alle telefonate reali. Non esistono corpora pubblici di conversazioni telefoniche italiane e le registrazioni aziendali non sono utilizzabili per ragioni di privacy e qualità del dato. I modelli vengono quindi addestrati su conversazioni costruite artificialmente, prevalentemente scritte: dialoghi lineari, puliti, privi di ambiguità. L’opposto di ciò che accade quando una persona risponde al telefono.

Anche ipotizzando l’uso delle registrazioni interne, il materiale sarebbe insufficiente, eterogeneo e non generalizzabile dal punto di vista prosodico e socio-culturale. Senza accesso al parlato reale, la macchina può costruire solo una rappresentazione piatta della conversazione. Per questo, oggi, un modello linguistico non può sostenere una telefonata reale: le sue risposte funzionano solo in un contesto ideale.


L’IA come ambiente di allenamento

Se l’IA non può fare la telefonata, può però creare lo spazio necessario per imparare a farla. Uno strumento progettato per simulare il potenziale cliente permette di modellare scenari coerenti, inserire obiezioni, domande inattese e soprattutto ripetere. Nel lavoro reale ogni chiamata è unica e non replicabile; nell’allenamento digitale è possibile isolare fasi specifiche della conversazione e lavorarci senza rischi.

Come sparring partner la macchina può svolgere due funzioni distinte. La prima è simulativa: impersona il potenziale cliente e reagisce esclusivamente a ciò che l’operatore dice o omette. La seconda è valutativa: al termine della simulazione verifica criteri oggettivi, come l’uso delle tecniche previste, delle parole chiave e della knowledge aziendale. In questo modo rende visibile la distanza, spesso significativa, tra la percezione dell’operatore e ciò che è effettivamente successo.


Implicazioni per la formazione professionale

Per chi si occupa di formazione, questo cambia radicalmente il quadro. L’IA non sostituisce il formatore e non automatizza l’apprendimento, ma introduce un contesto sicuro di osservazione che prima mancava. Mostra dove la preparazione è fragile, dove le scelte linguistiche non sostengono la relazione, dove l’operatore agisce per automatismi.

La simulazione consente al discente di osservare il proprio modo di comunicare mentre accade, cosa rara sia in aula sia nel lavoro reale. L’errore non viene “pagato” dall’azienda o da un cliente, ma diventa materiale di apprendimento. In questo senso la tecnologia non alleggerisce la responsabilità professionale: la rende più evidente, perché costringe a confrontarsi con ciò che si fa davvero, non con ciò che si crede di fare.


Per concludere

Ripenso alla frase ascoltata in aula, perché condensa l’immaginario comune sulla comunicazione telefonica. L’intelligenza artificiale non risolve questa leggerezza, ma la mette allo scoperto. Rende visibile la struttura di un lavoro che richiede studio, presenza e attenzione. E costringe a riconsiderare cosa significhi comunicare quando lo spazio dell’interazione è così ristretto da rendere ogni parola e ogni silenzio decisivi.


Pensare o reagire?
Successivo

Pensare o reagire?

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

Vindice Deplano

Vivaldo Moscatelli

Roberto Vardisio