Di inclusione si parla ormai da diversi anni e il senso che le si attribuisce è evoluto, venendo affiancata progressivamente da altre parole che ne chiariscono il significato e contribuiscono alla sua realizzazione.
Una prima importante evoluzione riguarda la platea di persone coinvolte. Inizialmente, si parlava di inclusione riferendosi a determinate categorie di persone (per etnia, genere, orientamento sessuale, condizioni fisiche e di salute, ecc.).
Ora, anche grazie al principio di intersezionalità , di cui abbiamo già parlato, si è compreso che l'inclusione riguarda ogni persona e che categorizzare non è inclusivo.
Categorizzare significa guardare solo a una caratteristica della persona che - però - ha tante caratteristiche contemporaneamente, essendo il risultato - per altro in evoluzione - di geni, cultura, educazione, istruzione, esperienze di vita e professionali.
Come si diceva, nel tempo l'inclusione è stata affiancata da altre parole, con l'obiettivo di meglio definirla e agevolarne la realizzazione. Vediamo come.
D&I - Diversity & Inclusion
Nella sua prima e più nota versione, l'inclusione è stata associata alla diversità a sua volta inizialmente riferita a cosiddette minoranze e categorie considerate svantaggiate: donne, omosessuali, minoranze etniche, persone con handicap, ecc..
Progressivamente, l'attenzione si è spostata dalle dimensioni visibili a quelle invisibili, andando così a comprendere anche l'identità di genere, le opinioni, la cultura e tutta una serie di elementi che caratterizzano una persona ma che possono essere conosciuti solo se questa sceglie di condividerli.
Grazie al diffondersi del principio della intersezionalità (che risale al 1989) è anche progressivamente aumentata la consapevolezza che - reciprocamente e collettivamente - siamo uguali o differenti a seconda di cosa decidiamo di guardare.
Con queste premesse, la diversità è stata intesa come unicità: ogni persona è unica e quindi differente da ogni altra persona; ed è unica come ogni altra persona.
Qui è il vero contributo della D&I: superare il concetto di uguaglianza tra persone per spostarlo sull'uguaglianza dei diritti. Un passo che si espliciterà meglio negli ulteriori sviluppi, come vedremo tra poco.
In questa fase, la diversità è riconosciuta come un fatto: ciò che siamo; e l'inclusione come un atteggiamento mentale che si traduce in azione: la volontà e capacità di comprendere, accogliere e valorizzare tutti gli aspetti della diversità.
DEI - Diversity, Equity, Inclusion
Il superamento del concetto di uguaglianza delle persone a favore dell’uguaglianza dei diritti è stato rafforzato dall'introduzione nel processo del principio di equità.
L'equità si basa sul riconoscimento delle diversità e sulla consapevolezza che ciò che per una persona è un vantaggio, per un'altra può essere una barriera.
L'equità è definita come una scelta di creare pari opportunità a partire dalle differenze.
Proviamo a fare un esempio per esplicitare il diverso sguardo.
La scuola pubblica, accessibile a ogni giovane indipendentemente dalle origini familiari e dalle condizioni economiche, è stata una conquista egalitaria. Uno dei principi di base era che, se ogni giovane avesse avuto accesso a un'istruzione, almeno di base (in Italia l'obbligo scolastico termina a sedici anni), allora ogni giovane avrebbe avuto la possibilità di costruirsi il futuro desiderato - in base ai propri meriti e alla propria volontà - a prescindere dalle sue origini.
Indiscutibilmente una importante opportunità, ma il sistema non è equo. Quasi due secoli di esperienza ci hanno mostrato che l'ambiente fuori delle mura scolastiche influisce anche dentro. La possibilità di avere uno spazio dedicato allo studio (una stanza tutta per sé, parafrasando Woolf), l'abitudine alla lettura anche per diletto, l'accesso a cinema, teatri, musei, concerti fanno la differenza anche sul rendimento scolastico, sulla scelta del percorso di studio e sulle opportunità che si vedono per sé in futuro. Non è un problema (solo) economico; è l'ambiente nel quale lo e la studente vivono.
L'uguaglianza ha portato a una scuola accessibile a tutte e tutti, l'equità richiederebbe una scuola aperta tutto il giorno, con biblioteche ben fornite e organizzate, spazi di condivisione e confronto, attività extrascolastiche di qualità e - perché no - più coerenti con i gusti delle giovani generazioni.
IDEA - Inclusion, Diversity, Equity, Accessibility
Nella fase attuale, il percorso si è arricchito di un'altra prospettiva e ha anche visto un cambiamento nell'ordine di quelle preesistenti, non solo per rendere l'acronimo più facilmente memorizzabile.
La diversità ha ceduto il passo all'inclusione, che diventa la prospettiva che guida le altre. L'intenzione – includere - è la premessa con la quale si riconoscono le diversità - le unicità possiamo ora dire - per scegliere di agire con equità. E qui veniamo all'ulteriore passo: l'introduzione del principio di accessibilità.
Le riflessioni che hanno portato a considerare l’accessibilità una espressione di inclusione sono partite dall'osservazione di determinate diversità visibili, in logica di equità, per poi scendere verso le invisibili.
Quando diciamo accessibilità, il pensiero va facilmente all'abbattimento delle barriere architettoniche. In questo caso, il concetto di accessibilità ci è immediatamente evidente.
Quando parliamo di inclusione, però, dobbiamo guardare all'accessibilità in modo più ampio e non necessariamente fisico, ma non per questo meno tangibile. Non è un caso se gli ostacoli all'avanzamento di carriera e alla parità salariale delle lavoratrici è stato denominato “tetto di cristallo”.
A ben vedere, la legge non solo non prevede ma esplicitamente vieta, ogni discriminazione di genere nei contratti di lavoro e nelle politiche retributive. Cosa accade allora? Accade che una norma egalitaria non è sostenuta da scelte eque (non necessariamente in modo intenzionale) e di conseguenza si nega l'accesso a determinate opportunità.
Accessibilità - nel contesto di cui ci stiamo occupando - significa eliminare le barriere (fisiche e non solo) che ostacolano il libero accesso a luoghi, risorse, informazioni e opportunità. L'accessibilità è una prospettiva, un modo di guardare consapevole: per eliminarle, le barriere le devo non solo vedere ma anche riconoscere come tali, se non per me, per altre persone.
Tornando all'esempio di prima, la lunghezza e la rigidità dell'orario di lavoro - tra tanti aspetti - sono barriere per donne che abbiamo anche oneri di cura. Chi di noi, tuttavia, non considera normale (o almeno consuetudinario) che in un ufficio si stia mediamente otto ore al giorno con un orario di ingresso e di uscita uguale per tutte e tutti?
Ecco - di nuovo - che il nobile principio di uguaglianza, nella sua universalità cieca rispetto alle differenze, genera iniquità e impedisce l'accessibilità.
L'accessibilità è, al momento, l'ultima e più grande sfida dell'inclusione, perché esce dalla sfera individuale ed entra in quella culturale, politica potremmo dire, nel senso di attinente alla convivenza in una comunità organizzata.
Questo non ci esonera da una responsabilità personale perché le evoluzioni culturali richiedono un impegno individuale e collettivo (a differenza delle rivoluzioni) e perché se consideriamo la politica come "l'arte di vivere insieme" (Pericle 495-429 a. C.) allora sta a ciascuna e ciascuno di noi valorizzare le diversità, pensare e agire in modo inclusivo, scegliere l'equità riconoscendo le barriere che ostacolano non solo la nostra ma la piena espressione anche delle altre persone e impegnarci per eliminarle, a beneficio di tutti e tutte.