La certificazione delle competenze da parte dei Fondi interprofessionali

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Il Decreto Ministeriale 9 luglio 2024 ha rappresentato un passo in avanti significativo sul tema della certificazione delle competenze. Tema molto discusso ma - almeno fino all’avvento del Fondo Nuove Competenze nel 2020 (uno dei primi strumenti di finanziamento che la richiedeva obbligatoriamente) - poco praticato. Un passo in avanti che coinvolge direttamente i Fondi interprofessionali e gli Enti di formazione.

Come forse alcuni ricorderanno, nel mio articolo “Ode al voucher” ho citato la certificazione come elemento misurabile che può essere messo al centro del contributo, al posto dell’attestazione delle sole ore di frequenza che non ci dicono nulla sui risultati del corso.


Gli attori dei processi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze

Il decreto legislativo 13 del 2013 aveva dettato le regole fondamentali per stabilire gli attori del processo, i relativi ruoli e le fasi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze. Questi soggetti sono parte del Sistema nazionale di certificazione delle competenze e spesso non erogano la formazione direttamente (non è indispensabile), ma sono chiamati sempre al processo di validazione e/o certificazione.

Il decreto definisce i soggetti “titolati” che possono validare e certificare:

  • Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR).
  • Regioni e Province autonome.
  • Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
  • Ministero dello Sviluppo Economico.

Sono poi previsti dei soggetti “titolari delegati”, quali:

  • enti pubblici e privati autorizzati o accreditati a livello regionale (tipicamente detti enti di formazione);
  • Camere di commercio;
  • scuole, università e altre istituzioni formative riconosciute dal MIUR.


Un processo in quattro fasi

Il processo che porta alla certificazione prevede quattro passaggi:

  1. Individuazione.
    Riconoscimento delle competenze acquisite dalla persona in contesti non formali o informali.
  2. Documentazione.
    Raccolta e registrazione delle evidenze che dimostrano le competenze acquisite.
  3. Valutazione.
    Analisi e verifica delle competenze documentate per accertarne la validità. A questo fine, è possibile per il soggetto (detto anche “secondo”) erogatore (se “titolare delegato”) emettere un attestato di messa in trasparenza delle competenze acquisite.
  4. Certificazione.
    Rilascio di un attestato ufficiale che riconosce formalmente le competenze valutate, emesso sempre da un soggetto terzo rispetto al soggetto erogatore o secondo.


Messa in trasparenza e certificazione delle competenze

La messa in trasparenza, la terza fase, riguarda le singole competenze, che possono riguardare profili professionali anche molto differenti, ad esempio l’uso di MS Excel. Per questo può essere emessa anche da soggetto erogatore della formazione e riguarda normalmente percorsi formativi brevi.

La certificazione riguarda invece un profilo di competenze più complesso, per esempio un profilo DigComp o un ADA dell’Atlante INAPP. SI tratta di un profilo unico al quale concorrono competenze di natura anche molto diversa.
Per questo, è necessaria la certificazione di un soggetto terzo rispetto ai soggetti erogatori delle singole competenze e si tratta per la maggior parte di percorsi formativi o esperienziali medio lunghi.

I quadri normativi di riferimento

Le certificazioni sono riferite ad alcuni quadri normativi europei:

  • Il quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER).
  • Il quadro comune europeo di riferimento per le competenze digitali (DigComp).
  • Il quadro comune europeo di riferimento per le competenze imprenditoriali (EntreComp).
  • Il quadro comune europeo di riferimento per le competenze personali, sociali e di apprendimento (LifeComp).
  • Standard di competenze stabiliti nell’ambito dell’indagine internazionale dell’OCSE- PIAAC, relativa a competenze alfabetiche e matematiche della popolazione adulta dai 16 ai 65 anni.

Dal 2014 è comunque operativo l’Atlante del Lavoro e delle Professioni gestito da INAPP, che è in continuo aggiornamento e che sarà oggetto di sviluppi evolutivi volti a raccordare l’attuale struttura di classificazione con:

  • le nomenclature previste dalla classificazione internazionale dei campi di studio (ISCED-F)
  • il quadro nazionale delle qualificazioni;
  • la classificazione europea multilinguistica delle qualificazioni, delle competenze e abilità e delle professioni di cui al Programma ESCO.

Il repertorio INAPP ha però carattere di sussidiarietà, rispetto ai Repertori delle Regioni e delle Province autonome, che – se presenti – devono essere utilizzati prioritariamente.


Problemi aperti

Come dicevo, il dibattito sulla questione è vivace e i problemi aperti non sono pochi:

  • Incompletezza dei profili di competenza.
    I quadri regionali, europei e nazionali (INAPP) fanno fatica ad aggiornarsi in funzione delle competenze relative alle nuove tecnologie in continua evoluzione e a quelle trasversali, specie se legate ai nuovi mestieri.
    Non mancano, poi, carenze nel descrivere anche profili più tradizionali.
  • Incertezza sulle modalità di certificazione.
    Da anni regna una certa confusione su chi certifica cosa, sulla differenza tra validazione/messa in trasparenza e certificazione vera e propria.
  • Complessità del sistema regionale.
    Alcune Regioni non hanno nulla, altre hanno modi diversi di definire lo stesso profilo, e comunque i “buchi” sono tanti. Inoltre, alcune Regioni riconoscono gli Enti di formazione accreditati come soggetti certificatori, mentre altre si affidano ad Albi di professionisti qualificati.
    La complessità nel processo sta anche nel definire chi e come certifica se i lavoratori di uno stesso progetto (e magari di una stessa azienda) operano in Regioni diverse.
  • Remore culturali.
    Molti operatori del settore – formatori, imprenditori, lavoratori - fanno fatica a capire il senso e il valore della certificazione delle competenze, no ne vedono il vantaggio pratico e non accettano il concetto test/esame che implica uno sgradevole stress “da giudizio”.
  • Perplessità per gli aspetti contrattuali.
    È sempre presente il timore che la validazione o certificazione delle competenze del lavoratore possa portare a richieste o vertenze sul reddito e/o la mansione. Spesso anche i sindacati hanno difficoltà a comprendere questi meccanismi e come inserirli nella contrattazione.
  • Costi organizzativi.
    Certamente l’attività di certificazione implica un aumento dei costi per chi la richiede, visto anche che i contributi pubblici per la formazione non vengono adeguati al maggiore costo richiesto per gli interventi. Inoltre, è sicuramente più complessa l’organizzazione dei corsi e dei relativi test o esami per il rilascio della certificazione.


Il DM 9 luglio 2024

In tutto questo si inserisce il recente Decreto Ministeriale, che:

  • Coinvolge nuovi soggetti come titolari della certificazione, in particolare i Fondi interprofessionali per la formazione continua, l’Unione nazionale delle camere di commercio e Sviluppo Lavoro Italia SpA.
  • Include dettagli su come gli enti titolari delegati devono individuare e aggiornare gli enti titolati all’erogazione dei servizi.
  • Disciplina l’individuazione delle competenze acquisite in contesti diversi dall’apprendimento formale, come contratti di apprendistato, tirocini, servizio civile universale, volontariato e progetti utili alla collettività.
  • Specifica i requisiti minimi per questi percorsi e gli enti titolati per l’individuazione delle competenze.



Cosa devono fare i Fondi Interprofessionali

Ecco un quadro sintetico degli adempimenti richiesti ai Fondi Interprofessionali, ai quali adesso è affidata anche l’offerta di servizi di individuazione/validazione/certificazione delle competenze (IVC):

  1. Implementare entro il 08/08/2025 un sistema di regole e procedure per l’erogazione di servizi IVC (art. 4) conformi con le disposizioni generali, i livelli essenziali delle prestazioni e gli standard minimi di servizio (sistema/processo/attestazione).
  2. Predisporre uno o più elenchi di enti di riferimento (i cosiddetti “enti titolati”) specificamente abilitati all’erogazione di servizi IVC, in conformità con le norme UNI e accreditati dall’organismo nazionale italiano di accreditamento Accredia. Tra questi: Unione Nazionale CCIAA, Sviluppo Lavoro Italia SpA, enti accreditati dalle Regioni e Province autonome, imprese e reti di imprese, enti bilaterali di cui al D. Lgs 276/2003, organismi paritetici territoriali di cui al D. Lgs. 81/2008.
  3. Operare, se opportuno, in forma associata con altri Fondi per la formazione, nonché con Formatemp, oppure avvalersi dei cosiddetti “Centri Duali Nazionali” (DU-NA) che figurano negli appositi elenchi predisposti e aggiornati da Sviluppo Lavoro Italia SpA, utilizzando i sistemi regolamentati dalle Regioni e Province autonome.


Cosa cambia per gli Enti di formazione

Queste novità implicano un cambio di passo nella qualità degli interventi formativi e una maggiore consapevolezza da parte tutti sui risultati della formazione finanziata. Entro il 2025, gli Enti di formazione dovranno adeguarsi anche per i Fondi interprofessionali a un ciclo completo di progettazione, gestione e certificazione basato su competenze ben individuate.

In particolare:

  • Gli interventi formativi e di politiche attive di accesso al lavoro finanziati dai Fondi interprofessionali devono far riferimento, sin dalle fasi di programmazione, progettazione, personalizzazione, agli standard di qualificazione indicati dalla normativa.
  • Gli attestati delle competenze acquisite al termine dei percorsi formativi devono essere prodotti in formato digitale aperto (libero da restrizioni legali per l’utilizzo) e conservate presso il Fondo oppure presso gli enti titolati che le hanno rilasciate. Questi attestati devono riportare i logotipi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell’ente titolato che le ha rilasciate e del Fondo.
  • Gli standard di costo dei servizi IVC finanziabili dai Fondi sono definiti dagli importi applicati ai servizi di orientamento specialistico nell’ambito del programma “Garanzia e Occupabilità dei Lavoratori” (GOL) e dei programmi nazionali FSE Plus 2021/2027.
  • Gli standard di durata dei servizi IVC sono quantificati in un tempo massimo di cinque ore per i servizi di individuazione, dieci ore per i servizi di individuazione e validazione, sedici ore per i servizi di individuazione, validazione e certificazione.

Sarà dura, sarà complicata, ma è un passo molto importante per dare un senso a tutto questo settore.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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